sabato 2 febbraio 2008

Carnevale : le maschere

Cosa rappresentano le famose maschere di carnevale?
Le "maschere di carnevale" rappresentano il ritorno dei morti (dei defunti di famiglia che venivano a trovare i vivi, e che agivano come numi tutelari protettori della casa, dei campi coltivati e degli allevamenti), nel mondo dei vivi.
Con il tempo queste figure vengono però sostituite con figure più "standard", tipiche delle varie regioni, e ciò accade con gli attori della Commedia dell'Arte alla fine del '500. Alcuni dei tipici personaggi carnevaleschi, quindi, prendono forma e vengono caratterizzati nel linguaggio e nella gestualità. Nascono "le maschere" che penetrano nella tradizione collettiva e ci accompagnano ancora oggi. La caratteristica della Commedia dell'Arte è che i personaggi apparivano in tutte le commedie senza cambiare
mai nome, e senza cambiare costume, sempre anche con lo stesso trucco e
la stessa maschera. Recitavano sempre le stesse parti senza mai cambiare
atteggiamento. Le Maschere di Arlecchino, Pulcinella, Colombina, Balanzone,
Pantalone, fecero il giro dell'Europa e divennero molto famose.

Ma la maschera da cosa deriva?

L'uso della maschera è antichissimo e si può già ritrovare all’origine della storia degli uomini, nella caccia e soprattutto nell’ambito di riti magici e religiosi. Sacerdoti, stregoni, maghi, esorcisti così si distinguevano e rappresentavano in modo antropomorfo l’essenza divina o demoniaca.

La maschera (dall'arabo “mascharà” cioè scherno, satira) è sempre stata, fin dalla notte dei tempi, uno degli elementi caratteristici e indispensabili nel costume degli attori. Originariamente era costituita da una faccia cava dalle sembianze mostruose o grottesche, indossata per nascondere le umane fattezze e, nel corso di cerimonie religiose, per allontanare gli spiriti maligni.

In seguito, dapprima nel teatro greco, successivamente in quello romano, la maschera venne usata regolarmente dagli attori per sottolineare la personalità e il carattere del personaggio messo in scena.

Ma vediamo le maschere più note della nostra bell'Italia.


Arlecchino è un servo di Bergamo, lazzarone e truffaldino, in perenne litigio col suo padrone.
Nonostante sia nato in provincia di Bergamo, il suo nome deriva dal medioevo francese: Harlequin, o Herlequin o Hellequin si chiamava un diavolo conduttore diavoli nei misteri popolari del sec. XI.
Ha un carattere stravagante e scanzonato, ma furbo. Grande maestro delle burle è il più testardo di tutti i personaggi.
Indossa un vestito di pezze colorate fermate da una cintura, pantaloni larghi e comodi, un cappellaccio sformato con pennacchio di coda di coniglio o una piuma e una maschera nera sugli occhi. La piuma è simbolo di fertilità e il coniglio è simbolo di furbizia. Alla cintura porta appeso il baòcio, il bastone per mescolare la polenta, che a lui funge da spada.
Lo scaricatore di porto, il facchino, il ruffiano, il servitore buono, semplice nei modi e nella testa, che combina guai e che ha sempre fame. Questo è Arlecchino. Deriva dalla figura dello Zanni, il buffone della prima Commeda dell’arte, di cui mantiene il carattere schietto e la naturale propensione ai guai.


Balanzone, anzi il dottor Balanzone, è nato a Bologna, e deve il suo nome alla “balanza”, cioè la bilancia, il simbolo della giustizia che regna nei tribunali.
Il Dottore infatti è solitamente rappresentato come un uomo di legge, che si intende di tutto ed esprime opinioni su ogni cosa. Caratterizzato da una certa verbosità, tende ad infarcire di citazioni latine e ragionamenti strampalati i suoi discorsi sulla filosofia, le scienze, la medicina, la legge e si esprime sempre con un fortissimo accento bolognese.
Si veste con pantaloni e camicia nera, guarnita di un colletto bianco. In testa ha un cappello a larghe tese, nero. Alla cintura un pugnale o un fazzoletto, e sotto braccio un librone.
E' la satira del laureato saccente e pedante. Non a caso viene da Bologna, città che nel Cinquecento è considerata capitale della cultura.


Brighella, attaccabrighe, imbroglione, chiacchierone, insolente con i sottoposti e insopportabilmente ossequioso con i padroni. Questo è il cuoco, il cameriere, il capo servitù Brighella da Bergamo.
E' l'antagonista di Arlecchino e primo Zanni della Commedia dal carattere scaltro e astuto.
L'abito che Brighella si vanta di indossare è la "livrea", simbolo dell'appartenenza al padrone: calzoni larghi e giacca bianchi listati di verde, un mantello bianco, anch’esso con due strisce verdi, un berretto a sbuffo e la mezza maschera sul viso. E' con questa uniforme che esercita il suo potere sui servitori semplici.


Colombina, servetta veneziana, è la fidanzata di Arlecchino, anche se lui non pare deciso a sposarla. .
Il suo nome sembra derivare dalle interpretazioni dell’attrice Isabella Franchini, che vestita i panni della fantesca con un paniere sotto braccio da cui si intravedevano due colombe.
Colombina indossa una cuffietta, un corpetto verde stretto in vita, con una profonda scollatura ed ampie maniche a sbuffo, la gonna arricciata a righe e rialzata sul davanti da un nastro di raso rosso, un grembiule bianco e scarpine bianche a punta con nastro rosso.
E’ di sicuro la più famosa fra le servette, giovane e arguta, dalla parola facile e maliziosa, abile a risolvere con destrezza le situazioni più intricate.


Gianduia è la maschera popolare di Torino. Dal suo nome deriva quello della cioccolata gianduia e del famoso cioccolatino "Gianduiotto".
E’ un intenditore di vini doc e la sua vera passione sono le osterie. E’ un galantuomo allegro dotato di buon senso e coraggio che ama, oltre al buon vino, anche la buona tavola.
Scaltro e arguto, ha un costume di panno color marrone, bordato di rosso, con un panciotto giallo e le calze rosse. Osservandolo attentamente, qualcuno azzarda una certa allusione antinapoleonica nel suo travestimento. Del resto la maschera è nata alla fine del '700, in pieno regime bonapartista.


A Milano, incontriamo lo spiritoso Meneghino (diminutivo di Domeneghin) inconfondibile con il suo cappello a tre punte e la parrucca con codino alla francese.
Vestito di una lunga giacca marrone, calzoni corti e calze a righe rosse e bianche, ancora oggi è protagonista dei carnevali milanesi.
Meneghino impersona un servitore rozzo ma di buon senso che, desideroso di mantenere la sua libertà, non fugge quando deve schierarsi al fianco del suo popolo. Generoso e sbrigativo, è abile nel deridere i difetti degli aristocratici.
"Domenighin" era il soprannome del servo, che la domenica accompagnava le nobildonne milanesi a messa o a passeggio. Durante l'insurrezione delle Cinque Giornate di Milano nel 1848 fu scelto dai milanesi come simbolo di eroismo.


Nella laguna veneziana nasce Pantalone, un personaggio bonario e pieno di umanità, nonostante il suo continuo brontolare.
E’ chiamato il Magnifico ed è un vecchio e ricco mercante che ha un grosso difetto: è estremamente avaro ed è solito preparare pranzi con un solo quarto di zecchino.
Il nome Pantalone deriva da “Pianta Leone”, come venivano definiti coloro che, con la scusa di conquistare nuove terre per Venezia, si sbrigavano a piantare la bandiera di San Marco su ogni pezzo di terra che trovavano.
Indossa uno zucchetto, giubba e calzamaglia rossi, con babbucce e mantello nero.


Larghi pantaloni di lucida seta bianca, lunga casacca guarnita di grossi bottoni neri, ampio colletto, papalina sul capo, volto pallido e un'espressione triste: questo è Pierrot, l’innamorato malinconico e dolce.
La pigrizia gli impedisce di muoversi come gli altri personaggi della Commedia; é sicuramente il più intelligente dei servi, svelto nel linguaggio, critica gli errori dei padroni e spesso finge di non capire i loro ordini, anzi li esegue al contrario, non per stupidità, ma perché li ritiene sbagliati.
E' furbo, ma sentimentale; l'unico personaggio che a un piatto di minestra, preferisce una romantica serenata, eseguita sulla mandola, sotto le finestre della sua bella. Forse anche per questa ragione é pallido e languido e, spesso, una lacrima gli scende sul viso.


Pulcinella è degno compare di Arlecchino e talvolta il suo rivale, specie negli intrighi d'amore. Pulcinella é fra le maschere più popolari e simpatiche ed è il simbolo di Napoli e del suo popolo. Pulcinella impersona lo spirito genuino, fatto di arguzia di spontaneità e di generosità. Appare sulle scene nelle vesti di un servo furbo e poltrone, sempre affamato e alla ricerca di qualcosa da mettere sotto ai denti. Pulcinella si adatta a fare di tutto oltre al servo; eccolo di volta in volta, fornaio, oste, contadino, mercante, ladruncolo e ciarlatano, che ritto su uno sgabello di legno, in uno spiazzo fra i vicoli di Napoli, cerca di smerciare i suoi intrugli "miracolosi" a quanti gli stanno attorno a naso ritto, richiamati dalla sua voce chioccia e dai suoi larghi gesti delle braccia. Credulone, litigioso, arguto, un po' goffo nel camminare, Pulcinella é in continuo movimento, sempre pronto a tramare qualche imbroglio o a fare dispetti. Ha anche un carattere mattacchione e, quando qualcosa gli va per il verso giusto, esplode in una danza fatta di vivaci e rapidi saltelli, di sberleffi e di smorfie gustosissime a vedersi. Una cosa però che non riesce mai ad imparare é a starsene zitto quando dovrebbe e proprio per questo é rimasta famosa l'espressione "é un segreto di Pulcinella" per dire di qualcosa che tutti sanno. Ma anche questo fa parte del carattere napoletano di Pulcinella: combattere, con spirito allegro e generoso, contro tutte le avversità e le durezze che si presentano nella vita di tutti i giorni.


Larghi pantaloni di lucida seta bianca, lunga casacca guarnita di grossi bottoni neri, ampio colletto, papalina sul capo, volto pallido e un'espressione triste: questo è Pierrot, l’innamorato malinconico e dolce.

La pigrizia gli impedisce di muoversi come gli altri personaggi della Commedia; é sicuramente il più intelligente dei servi, svelto nel linguaggio, critica gli errori dei padroni e spesso finge di non capire i loro ordini, anzi li esegue al contrario, non per stupidità, ma perché li ritiene sbagliati.
E' furbo, ma sentimentale; l'unico personaggio che a un piatto di minestra, preferisce una romantica serenata, eseguita sulla mandola, sotto le finestre della sua bella. Forse anche per questa ragione é pallido e languido e, spesso, una lacrima gli scende sul viso.


Rugantino: il suo nome deriva senza dubbio da "rugare" cioé brontolare, borbottare.
Il romanissimo Rugantino rappresenta il "bullo romano", disposto a prenderle fino a restare tramortito pur di avere l'ultima parola. "Meglio perde n'amico che na buona risposta" é una delle sue frasi preferite. Agli inizi della sua carriera lo si vede vestito come un gendarme, o capo delle guardie, sempre pronto ad arrestare qualche innocente per dimostrare la propria forza, litigioso e inconcludente.
Con il tempo smetterà l'abbigliamento militare e, vestiti panni civili, smusserà il suo carattere negativo per assumere un carattere più pigro e bonario che ne farà l'interprete di una Roma popolare ricca di sentimenti di solidarietà e giustizia.
Indossa pantaloni, gilet e giacca rossi, calza scarpe con grandi fibbie e porta un cappello a due punte.

Capitan Spaventa è una maschera tradizionale italiana della regione Liguria del XI secolo. Ha un vestito a strisce colorate, gialle e arancioni, un cappello a larghe tese abbellito con piume colorate, ricchi stivali e una spada lunghissima che trascina facendo molto rumore. Ha dei lunghi baffi ed un pizzo castano. E' uno spadaccino temerario che combatte più con la lingua che con la spada (cioè parla e discute molto). Era solito prendere in giro gli ufficiali di quel tempo.


Nel 1800 quando Carlo Goldoni cominciò a scrivere, le maschere ebbero un declino e le loro
figure passarono in secondo ordine. Negli anni successivi le Maschere non
si vedevano più nei teatri, si trovavano solo nelle feste e nel periodo di
Carnevale.

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